La componente energetica, come ben sappiamo e lo scoppio del conflitto ucraino ci ha, ancora una volta, confermato, è una delle voci determinanti per stabilire il livello di inflazione. In questi mesi, altresì, la sua “vischiosità”, termine ormai di moda per indicare la sua difficile discesa, è in buona parte dipesa, appunto, dai prezzi energetici (vd carburanti) che si mantengono a livelli elevati. Non c’è dubbio, quindi, che quanto si sta verificando sul mercato petrolifero potrà avere conseguenze piuttosto negative sul fronte dei prezzi. Infatti, Russia e Arabia Saudita si ritrovano alleate per quanto riguarda i tagli alla produzione, che vengono ulteriormente prorogati.
Immediate le conseguenze: il prezzo del Brent (vale a dire quello estratto nei Mari del Nord) ieri ha superato i $ 90, livello che non vedeva da circa 10 mesi. E il WTI, che invece sta ad indicare quello estratto nel Texas, e quindi, in senso più ampio, il petrolio Usa, ha toccato i $ 87. Secondo alcuni esperti, si potrebbero toccare, per il Brent, i $ 100 entro la metà dell’anno prossimo.
Per quanto la stragrande maggioranza degli analisti preveda un “atterraggio morbido” dell’economia (Goldman Sachs, per es, non va oltre il 15% di probabilità di una caduta economica), qualche segnale di cedimento comincia ad intravedersi. Non a caso, la UE, che aveva stimato, per il 2024 una crescita dell’area euro intorno all’1%, sembra decisa a ridurla allo 0,8%. Una percentuale che è la risultanza della media dei singoli Stati membri: la Germania dallo 0,2% dovrebbe passare all’invariabilità, l’Italia dall’1,2% allo 0,7%, e così via per quasi tutti i vari Paesi. Con il petrolio a $ 90, e la benzina, rimanendo all’Italia, sempre più vicina ai 2€, le cose potrebbero ulteriormente complicarsi, “congelando”, di fatto, la discesa dei prezzi.
Peraltro, in Europa un nuovo aumento dei tassi (la BCE si riunirà il prossimo 14 settembre) appare sempre più certo, “accorciando” il gap che ci divide con i tassi USA. Rimangono invece confermate le previsioni che indicano, per il 2024, un allentamento del rigore, anche se non è ancora chiaro quale sarà il momento in cui i tassi inizieranno a scendere.
Andando oltre i confini dell’eurozona, la crescita cinese appare sempre più “claudicante”, allontanando sempre di più il raggiungimento delle stime di crescita, fissate al 5% annuo. Se ne ha conferma guardando al dato dell’indice dei servizi, salito ben sotto le attese e fermatosi a 51,8 vso l’atteso 53,6. Né è stato sufficiente, per riequilibrare i conti, il buon andamento dell’automotive, con un aumento della produzione pari al 7,4%. Il colosso asiatico sembra ormai aver perso la sua forza propulsiva, con livelli di crescita in prospettiva sempre più simili a quelli delle aree sviluppate: per il 2030 si dovrebbe attestare al 3,50%, per poi scendere all’1% nel 2050. Con queste percentuali, il sorpasso sugli USA, che sino a poco tempo fa veniva dato già per questo decennio, si allontana sempre di più, e viene spostato verso la metà degli anni 40. E anche laddove si realizzasse, sarebbe comunque di modesta entità.
Per la prima volta nella sua storia oggi la Cina corre il rischio di trovarsi in “stagnazione” economica, con consumi in calo, crescita modesta, risparmi in continua crescita, livello di disoccupazionesempre più grave: visto che non sta parlando dell’economia di un Paese sub-sahariano, gli impatti potrebbero farsi sentire a livello globale. Motivo in più, per Governi e autorità monetarie, per non abbassare la guardia.
Ieri sera mercati statunitensi intorno alla parità (Nasdaq appena sopra, mentre ha chiuso in territorio negativo il Dow Jones).
Questa mattina troviamo, ancora una volta, il Nikkei che si appresta a chiudere positivo (+ 0,63%).
Vicino alla pari, per il momento, Shanghai.
Appena sotto, invece, a Hong Kong l’Hang Seng, a – 0,18%. A sostenere le quotazioni nuovamente il settore immobiliare, con l’indice Real Estate in aumento di circa il 7%.
Questa mattina prezzi del petrolio in leggero arretramento, con il WTI a $ 86,51 (- 0,31%).
Gas naturale Usa a $ 2,559, – 1%.
Oro a $ 1.934, stabile.
Ulteriore, leggero allungo dello spread, che tocca i 172 bp.
BTP al 4,33%.
Treasury Usa 4,25%, con il Biennale a 4,94%.
Bund che sale al 2,60%.
$ checontinua a dare segnali di forza, con l’€/$ a 1,0735.
Bitcoin sempre nella “palude”, a $ 25.751.
Ps: la Danimarca è nota per essere un Paese di pescatori e naviganti (oltre che, da qualche anno, patria di qualche campione di ciclismo, come Jonas Vingegaard, vincitore delle ultime 2 edizioni del Tour de France). Da qualche giorno si aggiunge un primato: è sede della società con la più grande capitalizzazione in Europa. La farmaceutica Novo Risk, infatti, ha scalzato dal trono la francese LVMH, ferma a “soli” € 381 MD, mentre il gruppo danese ieri ha consolidato € 420 MD. La cosa forse più incredibile è che rappresenta circa il 90% della capitalizzazione di borsa di Copenaghen….